I termini e loghi che richiamano una denominazione di origine protetta (D.O.P.) sono vietati, se non autorizzati, non solo con riferimento ai prodotti, ma anche ai servizi. Lo ha stabilito la Corte di giustizia dell’U.E. con la sentenza del 9 settembre 2021 nella causa “Champanillo” (C-783/19).
Il caso esaminato dalla Corte di Lussemburgo nasceva dall’impiego, da parte di una catena di locali spagnoli in cui si consumano tapas, della denominazione “Champanillo” (piccolo champagne) e di un logo raffigurante due coppe di champagne. La causa, promossa dal Comité Interprofessionnel du Vin de Champagne al fine di ottenere il divieto di utilizzo del termine “Champanillo” quale violazione della DOP “Champagne”, verteva sull’applicabilità o meno del diritto U.E. in materia di tutela delle DOP nel caso in cui l’uso di un termine che evochi una denominazione protetta riguardi servizi (es. ristorazione) e non prodotti.
La Corte ha stabilito il principio secondo il quale la protezione assicurata dal diritto europeo alle DOP non si limita soltanto ai prodotti alimentari, ma anche ai servizi, come quelli di ristorazione. Inoltre, il divieto di utilizzo non autorizzato delle denominazioni protette si estende non solo al caso in cui le denominazioni utilizzate siano identiche o simili a quelle protette, ma anche quando la denominazione esaminata incorpori una parte di una denominazione protetta o, persino, nel caso di mera «vicinanza concettuale». Al fine di valutare la sussistenza o meno di un’evocazione illecita di una denominazione protetta, ha affermato la Corte, è necessario verificare se l’uso di una denominazione comporti, in capo a un consumatore europeo mediamente informato e ragionevolmente attento e avveduto, un nesso diretto e univoco tra tale denominazione e la DOP.