Il Tribunale di Messina con sentenza del 4 febbraio 2019 aveva
condannato alla pena dell’ammenda, per il reato di cui all’art. 5, comma 1,
lettera C, della legge 238 del 1962, il legale rappresentante di una azienda
specializzata nel commercio all’ingrosso di frutti di mare, per aver detenuto
per la vendita un quantitativo di cozze che, sottoposte a controlli sulla
contaminazione microbiologica, sono risultate affette da una carica di
escherichia coli pari a 3500/MPN/100g, superiore al limite di legge.
L’imputato ha proposto ricorso in Cassazione per violazione di legge (art. 1 legge 283/1962, 191 cod. proc. pen. e 223 disp. att. cod. proc. pen.), poiché non aveva ricevuto alcuna comunicazione del risultato delle analisi, che gli avrebbe permesso di procedere con la richiesta di revisione di cui all’art 4, d.lgs 123 del 1993, ed eventualmente di ottenere un risultato a lui più favorevole. La Corte di Cassazione ha ritenuto inammissibile il ricorso in quanto gli alimenti sottoposti ad analisi erano deteriorabili, ed in quanto tali non era dovuta alcuna comunicazione dell’esito delle analisi, ma soltanto l’avvio dell’inizio delle operazioni per l’assistenza alle stesse (vedi Corte Costituzionale 26 settembre – 10 ottobre 1990 n. 434, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 2, legge 283/1962, nella parte in cui non prevede, per i casi di analisi su campioni prelevati da sostanze alimentari deteriorabili, l’avviso dell’inizio delle operazioni alle persone interessate, affinché queste possano presenziare).