Il caso in questione riguardava la contestazione rivolta ad un operatore del settore alimentare di aver detenuto per la vendita un quantitativo di salsiccia riposta in buste prive di etichette o informazioni sulla tracciabilità.
Il Tribunale pertanto, giudicava l’operatore responsabile del reato di cui all’art. 5 lett. b) della legge 30 aprile 1962 n. 283, norma che vieta l’impiego nella produzione, la vendita, la detenzione per la vendita, la somministrazione, o comunque la distribuzione per il consumo, di sostanze alimentari in “cattivo stato di conservazione”.
Nel proprio ricorso l’operatore lamentava il fatto che l’alimento non si trovasse in cattivo stato di conservazione e che non vi fosse, pertanto in sussistenza di alcun pericolo, anche astratto, per la salute dei consumatori.
Nella pronuncia in commento la Corte di Cassazione ha stabilito il principio secondo il quale il mancato rispetto delle disposizioni in materia di tracciabilità deve comunque far ritenere “pericoloso” (cioè potenzialmente rischioso per la salute) l’alimento e che, dunque, nel caso in commento vi è stata una violazione del c.d. “ordine alimentare”, volto a rassicurare il consumatore sulla salubrità del prodotto.
Tale pronuncia, che segue numerose altre di analogo tenore, alcune delle quali già commentate nei precedenti numeri della newsletter, lascia emergere nuovamente la necessità di una riforma legislativa del “diritto penale degli alimenti”, con particolare riguardo alla legge n. 283 del 1962, obsoleta ed ormai distante dai principi europei sulla sicurezza e igiene degli alimenti.